Avere vent’anni non mi sta sembrando così bello.
Ecco, l’ho detto.
Voglio dire, tutto qui? Vedo le stesse facce di sempre, solo molto più impegnate a darsi un tono da uomo/donna impegnati. Aperitivi di qua, feste di là, pomeriggi in biblioteca, serate a ballare dove “c’è tutta Milano”.
Mi sembra che stiano tutti seguendo un grande copione. Un breviario con norme di comportamento e una non troppo vasta scelta di personaggi da interpretare.
Mi guardo intorno e vedo attitudini, non personalità, grandi discorsi e citazioni elaborate ma poca, poca sostanza.
C’è da dire che come osservatore partecipante non mi do troppo da fare. Come al liceo, o meglio, ciò che un tempo era il liceo, sono più le serate che passo a casa che non fuori a fare i bagordi. Sarà che ho iniziato presto ed esagerato, sarà che mi sono stufato della routine, sarà che non m’è mai piaciuto ballare, sarà che miro ottusamente a non fare quello che tutti fanno, sarà non so cos’altro, ma questi vent’anni tanto blasonati cominciano ad insospettirmi. Tutto qui?
Però ora che ci penso il problema non sta tanto nella giovane età, quanto nella gioventù da cui è formata. Non sarò certo il primo a dirlo, ma i giovani d’oggi non sono tanto giusti.
Non lo siamo, la maggior parte di noi è inetta. Davvero. Non è bello sentirselo dire, ma siamo dei buoni a nulla. Certo, ci sono le eccezioni, e ognuno di noi crede di esserlo. E mi sa che è questo il problema. Per cui farò finta che non ci siano eccezioni. Così nessuno è in diritto di chiamarsi fuori.
Tutti, nessuno escluso, che del resto è la definizione di tutti e quindi è pleonastico, siamo dei buoni a nulla.
Me ne stavo lì sulla panchina scribacchiare le mie sentenze senza il minimo senso di colpa. Il sole era già alto in cielo e dovevano essere le due, cominciavo ad avere fame. Ero uscito di corsa quella mattina, con un misero sorso di succo in pancia. La bici sembrava pesare un quintale mentre pedalavo e credevo di sciogliermi dal caldo, schivando passanti idioti e macchine ostinate a chiudermi a destra. Era domenica, non me n’ero accorto. Tutta colpa del doppio sabato. Ovvero del venerdì-come-sabato, ultima news dell’essere universitari.
Ero ovviamente convinto che fosse lunedì, perché dopo due serate fuori, il week-end, c’era il lunedì. Era sempre stato così, non c’era motivo per cui dovesse cambiare improvvisamente. I cancelli erano chiusi e c’era insolitamente poca gente in giro, e molti più vecchi con bambini ad orari improbabili.
Porca merda, era successo ancora. Stavolta in un modo ancora più irritante.
Continua a leggere...