[MdP#2] Vaivrag 2

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Stavolta avevo superato me stesso, avevo fatto più di sei chilometri senza pormi domande, senza realizzare l’errore. Senza svegliarmi, in fondo.
Non so se esiste un termine medico per questo. Probabilmente idiozia. Ma non è una vera e propria condizione, scientificamente parlando.

L’orologio faceva le dieci e mezza, il cielo era blu e luminoso, e un generoso sole quasi estivo stava percorrendo la sua scalata quotidiana.
Era pieno aprile e non mi capacitavo di come potessi non avere ancora preso il ritmo universitario ed avere confuso domenica con lunedì. Era già il secondo cazzo di semestre ed era pure primavera, come si fa ad essere così rincoglioniti?

La giornata prometteva bene, ed ero troppo incazzato con me stesso per concedermi di tornare a casa; per cui mi diressi al parco, come solevo fare al liceo in primavera, saltando a discrezione l’interrogazione di fisica o salcazzo. Ai tempi me ne stavo lì sulla panchina ad inaugurare i libri di testo comprati a settembre, in folli maratone pre-terza prova, o semplicemente a scrivere canzonette sui taccuini da radical chic della moleskin. Cioè, non canzoni a proposito dei taccuini, solamente sopra, sia chiaro. Ho di meglio da dire, di solito. Mmh. Di solito.

Comunque stavo lì, ore e ore, a fissare i piccioni analizzando il loro comportamento, oppure passeggiando di fianco all’ex zoo. Mai avuto molte cose da fare. O meglio, mai fatto le molte cose che avrei potuto o dovuto fare.

Stavolta ero semplicemente parcheggiato su una panchina a scribacchiare quello che mi passava per la testa. In men che non si dica s’erano fatte le due, come aveva confermato l’orologio del cellulare. L’abitudine di girare con taccuini da radical chic non deve portarvi a credere che io sia un radical chic, non lo sono, giuro. Non sono nemmeno troppo sicuro di sapere con esattezza cosa si intenda per radical chic, l’ho sempre tradotto in benpensante, solo di sinistra. Comunque mi piaceva l’idea di avere un posto in cui annotare al volo i miei pensieri. Inoltre spesso diventava un passatempo, nei momenti buchi o nelle lunghe attese dovute alla mia eccessiva e cronica puntualità. Certa gente fuma, e muore. Io preferivo scribacchiare, e nel peggiore dei casi farmi picchiare per le malignità che annotavo.

Che poi, più che malignità erano generalizzazioni.

Ero un campione a generalizzare, no, anzi, sono un campione a generalizzare. È più facile che non darsi risposte per scarsità di prove. O per umiltà e modestia, spesso falsa umiltà e modestia.

Ecco, l’ho fatto ancora; ma odio quelle persone che dicono “non mi va di dare un giudizio” o “non sta a me”. Checcazzo siamo creature pensanti: pensiamo perdio!

Per cui mi davo risposte, ad ogni domanda che mi ponevo trovavo una risposta soddisfacente e spesso molto, molto critica. E cinica. Erano le mie parole preferite. Critica e cinismo, intendo. Un mio sorta di dogma personale, vista la scarsa affidabilità di quelli proposti dalle religioni. O più che altro dalla scarsa affidabilità delle religioni stesse. E dei loro sacerdoti. Illusi.

Argh. Devo smetterla. Ho già probabilmente perso tutti i lettori dai vent’anni in su, chi indignato dalle accuse: i più giovani, chi dalle eresie: i più anziani. Per non parlare di tutti i radical chic. Quindi mi scuso con chiunque sia rimasto, non volevo ferire i sentimenti di nessuno. Magari richiamate chi se ne è andato, attirateli con dei cioccolatini, dicendo che troveranno degli amici, come fanno i ciellini. Facciamo finta che questo sia un grande gruppo di studio, solo che ascoltate tutti me. Non perché abbia più diritto di parlare, ma semplicemente perché questo è la mia cazzo di storia e non la vostra.

Per cui fidatevi, sono l’uomo giusto per questo lavoro, anche perché quella che scrivo è la mia storia, con le mie opinioni, quindi chi meglio di me potrebbe farlo?

Domanda di tutt’altra rilevanza è: chi mai potrebbe leggerlo?

Mah.

[continua…]

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